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Recensioni Rock in Roma 19-06-2014

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view post Posted on 20/6/2014, 23:28
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Partiamo con la prima recensione di Metallus.it

Con Roma gli Avenged Sevenfold avevano un conto in sospeso. O meglio, era il pubblico di Roma ad aspettare al varco Matt Shadows e soci. L’ultima volta che erano stati nella Capitale (sempre nell’ambito del Rock In Roma, nel giugno 2011) hanno svolto il compitino, suonato quello che dovevano suonare, senza alcuna interazione col pubblico e poi via su un furgone bianco.
Probabilmente quella freddezza è stata fatta notare e nonostante questo, il pubblico italiano ha risposto con un sold out nella scorsa data di novembre al Forum di Assago.
Ecco, quindi, che con un velato senso di colpevolezza, gli Avenged Sevenfold hanno dato il massimo on stage, ricordando proprio dal palco l’episodio del 2011.
“Suoneremo di più e meglio questa sera”, ha detto M.Shadows.
Meglio, sicuramente, il “di più” è opinabile: 13 tracce, intervallate da un 5 minuti di solo di Synister Gates, il cui “via” è stato dato da una registrata “Back In Black”, esattamente come è stato fatto per il concerto al Download.
Il gigantesco deathbat si solleva. Gli AC/DC sfumano e partono le campane di “Shepherd Of Fire”.
Il pubblico del Rock In Roma è in delirio. Scene di panico sopratutto tra le prime file di ragazzine urlanti che possono guardare negli occhi i loro idoli. Brian, pardon, Syn se ne accorge e spesso e volentieri lancia sguardi ammiccanti, regalando espressioni da “bello e impossibile”. Un po’ più grezzo Johnny Christ, il bassista con la cresta, che invece regala “toccate di pacco”.
Menzione anche per il batterista Arin Ilejay, apparso decisamente più in forma, tranne che su un passaggio in “Unholy Confessions”, ultima traccia suonata, dove sembra che se ne sia andato un po’ per i fatti suoi.
Ed a proposito di batteristi. Esattamente come a Milano, gli Avenged Sevenfold hanno riproposto “Fiction”, brano scritto, cantato e dedicato al drummer The Rev, scomparso nel 2009. Accendini al cielo: tutti si sono sentiti parte della stessa famiglia, nel ricordo di un musicista fondamentale per questa band, la cui assenza pesa non solo dal punto di vista affettivo, ma anche musicale.
Ancora delirio sulla più famosa “Nightmare” ed ovviamente su “Afterlife”, non prima di aver permesso a Synister di deliziare i presenti con un lungo solo.
Per presentare “Sad But True”, pardon, “This Means War” (dall’ultimo album “Hail To The King”), Shadows ha chiesto al pubblico di Roma se se la sentisse di vincere una sfida con il pubblico milanese, in quanto pare che il cantante (per sua ammissione) sia rimasto molto impressionato dalla partecipazione al brano lo scorso novembre: “Non l’ho mai sentita cantare così forte. Volete batterli?”.
Sinceramente non è stato poi comunicato l’esito della particolare sfida…
Sta di fatto che gli Avenged Sevenfold hanno fatto tesoro del calore del pubblico italiano e per questo si sentiranno sempre debitori nei suoi confronti. Noi li aspetteremo, sperando che al prossimo concerto la scaletta vada a rispolverare qualche altro successo di (relativa) nicchia suonato già altrove e non ancora in Italia.


Cinespresso
Gli Avenged Sevenfold vengono spesso in Italia, ma erano tre anni che mancavano dalla capitale, esattamente dal Rock In Roma del 2011, che però non lasciò la band pienamente soddisfatta: “L’ultima volta che abbiamo suonato a Roma” – esordisce il cantante e leader Matt Shadows - “non eravamo in forma, né fisicamente né mentalmente per poter affrontare un tour. Ma ora siamo tornati e siamo pronti a suonare molto meglio e molto di più!”.

Un’esibizione, quella di ieri sera, che ha lasciato pienamente soddisfatti i fans accorsi da tutta Italia per godere della potenza di Shadows e compagni, con una performance di alto livello, perfetta e coinvolgente.

La scenografia è ridotta rispetto al solito palco utilizzato dai Sevenfold e che vede l’assenza di fuochi, fiamme ed esplosioni ad accompagnare i brani (cosa per cui Shadows non manca di scusarsi), ma l’impatto dell’enorme deathbat simbolo della band che troneggia sullo sfondo e della grande pedana centrale su cui domina la batteria è stato ugualmente forte. In un tripudio di grida e mani al cielo, con l’eccitazione palpabile che si avverte nell’aria caricata da una immortale “Back In Black” degli AC/DC la band fa il suo ingresso: oltre a Shadows, con il suo immancabile occhiale da sole, arrivano Synyster Gates e Zacky Vengeance con le loro chitarre, Johnny Christ che imbraccia il basso con il suo solito atteggiamento ilare e infine il batterista Arin Ilejay, scelto a raccogliere l’eredità lasciata da Jimmy “The Rev” Sullivan (il compianto pilastro della formazione originale) e ormai membro del gruppo in tutto e per tutto.

Si parte con uno dei nuovi brani, “Shepherd of fire”, che galvanizza il pubblico al punto giusto in attesa dei successi più datati che tutti aspettano con ansia. La band è impressionata dalla quantità di gente presente e dal calore dimostrato sin dal primo accordo, e per farsi “perdonare” dello show di tre anni fa, annuncia che la scaletta della serata sarà più lunga e ricca del solito. Non si fa nemmeno in tempo ad esultare che la voce incredibilmente potente di Shadows attacca prima “Critical Acclaim” e subito dopo “Bat Country”, lasciando i fan letteralmente senza fiato.

La forza musicale del gruppo è incredibile, il suono della batteria penetra sottopelle e il pubblico è talmente carico che canta persino le melodie degli splendidi assoli di chitarra di Synyster Gates, eseguiti nella caratteristica posizione spalla a spalla con Zacky Vengeance: si procede senza un istante di pausa con altri due brani dell’ultimo album, “Hail to the King” e “Doing Time”, con la folla che canta a squarciagola.

Dopo un breve stacco la chitarra di Synyster annuncia uno dei brani più attesi, “Buried Alive”, una ballad che esplode poi in un finale ritmato da cui è difficile non farsi coinvolgere. A questo punto arriva l’ennesima sorpresa: Shadows, giunto il momento di eseguire l’unico lento in scaletta, regala uno dei pezzi più commoventi che il gruppo abbia scritto. Si tratta di “Fiction”, ultima toccante composizione scritta da The Rev prima della sua prematura scomparsa, una sorta di testamento le cui parole profetiche danno i brividi; Shadows, che oltre ad essere compagno di gruppo di The Rev era anche suo grande amico (come gli altri componenti del resto), si posiziona con l’asta al lato della batteria, in segno di rispetto, e quando durante il suo discorso commemorativo dal pubblico si alza il coro che inneggia al suo scomparso amico, sorride evidentemente commosso. Quando poi partono le note del brano, presentato assai di rado in concerto, la commozione arriva al cuore di tutti grazie al duetto fra il cantante e la voce di Jimmy Sullivan. E sulla frase più significativa cantata dalla voce di The Rev “I know you’ll find your own way when I’m not with you” (so che troverai la tua strada, quando non sarò più con te) nessuno si vergogna a mostrare gli occhi lucidi per l’emozione.

Il tempo di riprendersi è giusto un attimo, perché poi arriva un altro dei brani più famosi, quali “Nightmare” che viene cantata quasi per intero dal pubblico, “The Beast and The Harlot”, uno dei brani assenti nel precedente concerto, l’ultimo prima della prima pausa dedicata al talento di Synyster Gates: il suo assolo è coinvolgente, perfetto per dimostrare tutto il talento e il virtuosismo di un chitarrista eccellente nonché un grande intrattenitore, che non manca di interagire col pubblico mentre le sue dita viaggiano a velocità estrema sulle corde della chitarra personalizzata.

In un susseguirsi senza respiro della storica “After Life”, della nuova “This Means War” e dell’esplosiva “Almost Easy”, tutte caratterizzate dalla grande presenza scenica e dall’imponenza vocale di Matt, si arriva in un attimo all’ultima pausa prima del gran finale. Ed è veramente un finale coi fiocchi quello che i cinque californiani hanno preparato per i fan romani: l’entusiasmo è alle stelle quando parte uno dei brani più apprezzati della band, “A Little Piece of Heaven”, la storia di un amore macabro che è quasi una piccola opera rock; tutti cantano il pezzo nonostante la lunghezza (la versione in studio dura 8 minuti) e non mancano anche le risate quando Johnny Christ si presenta con un improbabile maglioncino rosso e verde che lo fa sembrare un folletto di Natale.

La conclusione è affidata ad “Unholy Confession”, uno dei pezzi storici della band, che saluta Roma con trasporto, e non manca di trattenersi sul palco per lanciare plettri e bacchette, e per ringraziare più e più volte i propri fan per la bella serata. Ancora una volta gli Avenged Sevenfold si sono confermati un gruppo che merita di essere visto dal vivo: musicalmente eccellenti, incredibilmente potenti, altamente coinvolgenti e carismatici, sanno decisamente stare sul palco e regalare a chi li ascolta dal vivo un’ora e mezza di pura musica. Non rimane che sperare in un successivo appuntamento al Rock In Roma… in fondo si sa, non c’è due senza tre!


Comingsoon
“L’ultima volta che abbiamo suonato a Roma” esordisce Matthew Shadows, leader degli Avenged Sevenfold “non eravamo in forma, né fisicamente né mentalmente per poter affrontare un tour. Ma ora siamo tornati e siamo pronti a suonare molto meglio e molto di più!” E così è stato.

I cinque ragazzi californiani si sono lanciati in una corsa senza freni di ben due ore attraverso la loro intera discografia, una vera e propria montagna russa musicale . La serata si apre sulle note di Back In Black degli AC/DC per poi scendere subito in picchiata, facendo salire l’adrenalina a mille, sul loro ultimo album “Hail to the King” con i brani “Shepherd of Fire”, “Hail to the King”, “Doing Time”, “This Means War” il sound è molto diverso da quello dei primi album ma i fan presenti (troppi pochi...o forse troppo grande Capannelle per un concerto simile) non se lo fanno ripetere due volte e dopo pochi minuti sono già irrefrenabili: un vero e proprio fiume in piena.

Malgrado il nuovo album sia davvero un bel lavoro è grazie ai brani tratti dal vecchio repertorio che il
concerto prende veramente il volo. I cori di “Nightmare” sembrano far tremare la terra e ti arrivano addosso con una potenza disarmante per non parlare poi di “Bat Country”, “Afterlife”, “Scream”, “Almost Easy” e “Beast and the Harlot” dove ormai è impossibile trovare anche solo una persona che non stia cantando ogni singola parola insieme a Matthew Shadows.

Con “Fiction” si torna un po’ a respirare l’aria pesante dell’ormai lontano 2011, la bellissima dedica di Matthew Shadows per The Rev lascia tutti senza parole, scende qualche lacrima impossibile da trattenere e si accendono tantissimi accendini. Le voci sono tutte rivolte al cielo e a quella batteria che fino a pochi anni fa era il suo regno. I ragazzi sul palco mettono da parte il divertimento e sembrano diventare più piccoli come per magia. Il grande e imponente Matthew Shadows sparisce dietro l’asta del microfono con la testa tra le braccia e le parole di quella canzone escono dalla sua bocca come una preghiera. Quello era il peso che li aveva “bloccati” nel tour del 2011, quello era il peso che non li faceva stare in forma e che ora, a distanza di quasi cinque anni dalla scomparsa di Jimmy 'The Rev' Sullivan, è diventato parte della loro forza ed è un momento quasi rituale che si ripete ad ogni concerto.

La serata si chiude sulle note di “A Little Piece of Heaven” e “Unholy Confessions” lasciando tutti con l’adrenalina al massimo e con la voglia di continuare a cantare ancora per molte ore.

Il quintetto californiano ha mantenuto la promessa e ci ha regalato due ore di buonissima musica e di gran divertimento, ora non gli resta che mantenere l’ultima promessa ... a quando il prossimo concerto a Roma?
 
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view post Posted on 23/6/2014, 17:15
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